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Sono sempre stata affascinata dalla luce, da come a contatto con delle parti non illuminate direttamente si creasse l’ombra, e come queste due insieme formassero dei contrasti profondi, a volte geometrici, netti e delineati. Luce e ombra, così vicine da potersi sfiorare ma così diverse da non potersi fondere l’una con l’altra. Ognuna resta al suo posto, con la propria identità, creando incredibili armonie insieme.

Tutto attorno a noi è un gioco di queste due parti, una danza alla quale assistiamo quotidianamente che genera la vita: non può esistere l’una senza l’altra.
Immaginate di guardare una foto completamente buia, nera. Richiamerebbe la vostra attenzione o sembrerebbe soltando un quadro nero? Immaginate ora l’opposto, una foto così esposta alla luce da risultare totalmente bianca. Come sarebbe? Un quadro bianco senza forma.
Eppure basta pochissimo: un punto di luce nel buio o un’ombra nel bianco assoluto, per far nascere un’emozione, per far cadere il nostro sguardo verso un soggetto e creare una storia.

La luce come origine del linguaggio fotografico

“La luce è parola: parola è amore, amore è conoscenza, conoscenza è libertà, libertà è luce, luce è energia, energia è tutto.”
Vittorio Storaro (Direttore della Fotografia)

Fotografia, letteralmente "scrivere con la luce", deriva dal greco antico dalla combinazione di phôs (luce) e graphè (scrittura, disegno). Ci ricorda che fotografare non significa catturare un’immagine, ma scrivere con ciò che rende visibile il mondo: questa arte esiste e prende vita grazie alla luce. È un atto creativo, non un gesto tecnico. E nel cinema questa consapevolezza diventa ancora più evidente: forse non tutti sanno che il direttore della fotografia immagina l’inquadratura prima che esista, facendole prendere forma con la luce, colore, atmosfera e scegliendo il taglio delle lenti. È spesso lui (più del regista) a determinare la forma emotiva di una scena, e molto spesso risulta essere un autore silenzioso, meno in vista e meno conosciuto dei grandi nomi di attori o registi… nonostante questo, se non ci fosse questa figura, “il cinema sarebbe teatro” (una battuta che si usa fare spesso sui set cinematografici, forse un pò esagerata, ma rende l’idea).

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Luce, ombra e colore: l’alfabeto dell’immagine

Parlare di fotografia significa parlare di ciò che vive dentro l’inquadratura: la relazione tra luce e ombra, la presenza del colore e di quale tonalità, i contrasti che si creano nello spazio. Si può pensare quindi alla fotografia come una vera e propria scrittura, come un linguaggio a sé, che non si esprime attraverso lettere o forme d’onda, ma che comunica attraverso i contrasti, attraverso le varie gamme di colori, le dinamiche tra il bianco e il nero e le impressioni visive che riceviamo.

Parlando di luce si parla inevitabilmente di energia: è qualcosa che tocca i nostri occhi, attraversa la mente, il cuore. Utilizzando una luce particolare o un determinato colore si muovono delle sensazioni dentro di noi che fanno parte del nostro pensiero e del nostro inconscio. Per questo motivo, un certo tipo di orchestrazione cromatica genererà un certo sentimento o una certa condizione emotiva piuttosto che un’altra, basti pensare ad una qualsiasi scena di un film che ci è rimasta impressa: che tipo di luce c’era e che atmosfera creava?

Una luce artificiale, tendenzialmente blu e fredda, la associamo ad una energia più “lunare”, introspettiva e misteriosa, dove è possibile navigare in ciò che è nascosto. Una luce naturale e calda, è “solare”, associata alla figura del Padre, splende lì dove prima c’era il buio e rischiara ogni dubbio. Ci dona forza e coraggio per vedere meglio ciò che prima non riuscivamo a scorgere.

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Osservare e imparare da Caravaggio

Caravaggio aveva già intuito tutto questo molto prima della nascita della fotografia: nei suoi quadri la luce non serve da contorno per accompagnare la scena, ma la crea. Il suo chiaroscuro è un linguaggio capace di dialogare senza parole, assume un valore simbolico e narrativo non solo rivelando il carattere del personaggio, ma anche lo stato emotivo interiore.
I fasci di luce che utilizza nei suoi quadri sono come spade luminose che rivelano la verità là dove c’è il buio.

Credo che per ogni professionista che lavori con l’immagine, sia necessario riempirsi gli occhi e l’anima di quadri dei più grandi pittori: maestri che si trovano nelle gallerie d’arte e nelle chiese.

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La responsabilità di modellare la luce

Conoscere la luce significa comprendere come le immagini parlano allo spettatore e come possono influenzare il suo stato interiore: modellare la luce significa modellare emozioni, atmosfere, significati. Per questo motivo credo nella responsabilità che abbiamo nell’immettere un certo tipo di immagini nel mondo.

La fotografia, in fondo, resta sempre una scrittura: solo che invece dell’inchiostro utilizza l’energia stessa che illumina il mondo.

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Anastasia Angelini

Videomaker & Photographer

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